La vita di Emanuele Giudice è la storia singolare di un uomo del Sud, libero e coraggioso, buono e generoso e di un politico impegnato e onesto, signorile e prudente, che è vissuto in un Meridione non solo arretrato e abbandonato, ma anche rovinato, saccheggiato e rapinato dalla Mafia e dalla illegalità mediante la corruzione politica e clientelare imposta dai capitribù nella vita sociale e politica dei territori di pertinenza o di assegnazione. Nel Sud la logica dominante è ancora quella del ricorso alla prevaricazione per la conquista del potere di influenza e di decisione negli appalti e negli affari pubblici. Avere una centralità di posizione e di ruolo nel sistema è importante per essere sul piano sociale e civile un uomo che conta e una personalità riconosciuta, integrata e valorizzata. Per questo non è facile trovare uomini liberi e coraggiosi, né intellettuali autentici, creativi e innovativi. La Chiesa nel Meridione ha ritenuto di dover assumere un ruolo primario e decisivo nella formazione e preparazione della classe dirigente ed un ruolo di supplenza, strategico e difensivo sul piano politico e istituzionale. La vicenda umana e politica, religiosa ed intellettuale di Emanuele Giudice è a riguardo emblematica e nodale .E’ la storia di una bella personalità politica, intellettuale e morale di un cristiano coerente che ha servito con il suo carisma personale le istituzioni democratiche con serietà e dignità, e laicamente anche la chiesa di Ragusa con semplicità e consapevolezza profonda nello stile dei “fratres minori”.
Non fu mai “un protagonista della profezia” né “una sirena dell’integrismo”. E’ stato per la nostra realtà una dolce luce vicina, un animatore e un promotore attento e scrupoloso di livelli di bene comune di qualità, civiltà e progresso. Era un uomo “democratico” nell’animo e nel cuore, un convinto sostenitore di un cammino politico e culturale più spedito e lineare in termini di decondizionamento spirituale e sociale e di sviluppo corale e collettivo finalizzato a ridurre il gap di cultura e di moralità pubblica con le zone più avanzate e civilizzate del Paese. Una volta scrisse in una breve e sintetica analisi del costume politico di certi noti personaggi che “la gente ha bisogno di stendardi, di parole facili in cui credere, di mobilitazioni della memoria in cui arruolarsi.
(e precisava come in un giuramento!?) << Ma io non mi arruolo dietro nessun stendardo. Ho bisogno di ragionare io, di convincermi, e di dialogare. E anche voi ne avete bisogno, anche se non lo dite … La storia non si scrive con la paura … ma tenendo alto lo sguardo per scoprire e capire la realtà >>( E. Giudice da “Pensieri sparsi sul nostro tempo” edizioni Feeria – Comunità di San Leolino – Panzano in Chianti (Firenze) 2005 p.52) .Aveva un sacro rispetto per la Parola e la usava con correttezza e sobrietà e proprietà semantica, con scrupolosa sintassi e con un’ermeneutica simbolica e narrativa. Non accettava la decadenza e la caduta di tono e di stile del parlare, sia nella quotidianità esistenziale che nella comunicazione “politica” degli uomini politici, che erano rappresentanti del popolo.. Egli faceva notare che <<Parlano parlano parlano. Tutti. Senza preoccuparsi dei significati, senza immaginare un interlocutore, senza proposito di comunicare … “ La nostra sembra diventata una civiltà della parola a ruota libera della chiacchiera infinita, del cicaleggio insistente e molesto … della caduta verticale dell’intelligenza e buon gusto per dare spazio al nulla gaudente” (pag 63).
Quando parlava di Ponzio Pilato “giudice” lo indicava come un esempio in negativo dell’appello alla volontà popolare,furbescamente manipolata dal Sinedrio e dal Tempio,Pilato infatti aveva scelto” Barabba al posto di Gesù (un ladro e un noto assassino invece di liberare un uomo buono!) piegando la giustizia alle ragioni della politica. “ (pp 82-83)
Quando esaminava il degrado della politica nelle istituzioni democratiche ai vari livelli sino allo spettacolo indegno dei parlamentari “comprati” diceva : << La politica è diventata oggi il luogo dove imperversa e spadroneggia l’interesse privato e personale fino a toccare punte di indecenza nauseanti. >> (pag. 83)
Parlando di Giorgio La Pira egli indicò, in modo esplicito e chiaro, il nuovo compito della politica nella nuova storia dell’Umanità, perché la Resurrezione di Gesù aveva cambiato il passato,il presente e il futuro dell’Universo. (pp. 120 – 121)
Per Emanuele Giudice la politica è profondamente e strutturalmente una vocazione nobile e una realtà fondamentale perché tesse nella storia visibile degli eventi l’avvento del soprasensibile e, con forte sapienza escatologica, il corso provvidenziale del misterioso e sicuro Ritorno di CRISTO. Per questo la politica è sacra e impegnativa, ed è fatta di intelligenza e di pazienza, di miseria e nobiltà, di anima e corpo, di fede, grazia e peccato.
I politici sono i più grandi peccatori non solo per le ruberie e le negazioni indecenti del bene comune pubblico ma anche e soprattutto per le omissioni grandi e quotidiane.
La vera politica è discontinuità di Cielo sulla Terra,,teatro di diritti e di doveri, luogo delle passioni e delle speranze, ambito della creatività e della progettualità, della Incarnazione e della Resurrezione.) .
La buona politica è quindi una medicina salutare (a piccole buone dosi di conversione e di virtù), di sacrificio e di altruismo, e vive bene solo se è diretta da una logica permanente di prossimità……
Per chi ha fede la politica è lo sguardo vicino di Dio e della sua provvidenza .
Per chi non ha fede la politica è l’arte del buon governo per curare e bonificare i diritti della cittadinanza visibile.
Per tutti, credenti e non credenti, la politica diventando religione, si snatura e prevarica, ma coerente e altruistica si fa e si esperimenta nella sua alta moralità pubblica di impianto e di servizio. Con buona laicità e signorile distinzione si precisa come l’arte fondamentale dell’amare civile decondizionante, destrutturante e ricostruttivo nella società e nello Stato.
Presuppone quindi e sempre un agire spirituale e morale di tipo distaccato e ascetico cioè del “ servi inutili siamo! “. Emanuele Giudice fu in questo senso alto e profondo un significativo e prezioso uomo politico di Dio.