Amo il mare. Quello di Scoglitti, il mare Mediterraneo, che si affaccia verso l’Africa. È un mare diverso da quello che bagna gli altri due lati della Sicilia, infatti uno si chiama Tirreno e l’altro Ionio, ma il vero Mediterraneo è questo qua, battuto dai venti di Maestrale che chiamiamo Provenza perchè vengono dalla Francia e che sono capaci di trasformare, in poche ore, le acque azzurre e trasparenti in spaventosi vortici di onde che la sabbia rende grigie e giallastre. Queste burrasche violente avvengono anche in piena estate, e nei momenti di massima non resta che chiudersi in casa ed aspettare che passi. Poi improvvisamente il vento cade, e il mare comincia a calmarsi e torna ad essere quello di prima, pigro e pacifico, con i suoi splendidi tramonti sull’acqua (e anche questo è un pregio di questa parte di Mediterraneo).
È un mare affascinante quello di Scoglitti, dolce e selvaggio al tempo stesso. Un mare poetico e un mare assassino, perché nelle sue acque hanno perso la vita, negli ultimi decenni, migliaia e migliaia di migranti. È su questa lato di Mediterraneo che sono arrivate le prime imbarcazioni cariche di migranti.
Era il 2004 credo, e il cuore dell’estate. Dalla mia casa di fronte al mare lo spettacolo era di pura luce e vacanza: la spiaggia piena di ombrelloni e bambini, il mare di giochi e tuffi allegri, ma all’improvviso ecco apparire sulla destra un grosso oggetto natante stracarico di persone, uomini e donne di colore, stipati fino all’inverosimile. Non mi era mai capitato di vedere niente di simile, corsi a chiamare mio padre, per condividere con lui lo stupore e l’ansia che mi attanagliavano. Non potrò mai dimenticare il gesto che fece appena vide quella scena drammatica: buttò con stizza a terra il giornale che stava leggendo e tornò dentro casa.
Le forze dell’ordine erano già sul posto, evidentemente erano state allertate dell’arrivo del barcone di disperati, papà tornò quasi subito per vedere se potevamo renderci utili in qualche modo, ma la sua reazione iniziale fu per me come uno schiaffo in faccia. Mi fece capire in un’istante che in quel momento eravamo spettatori dell’ingiustizia della mondo, noi privilegiati dalla sorte e loro che arrivavano senza nulla, rischiando la loro stessa vita. Papà protestava per questo, perché in quel giorno dorato d’estate era ancora più stridente il contrasto tra chi ha tanto, anche il superfluo, e chi ha dovuto scappare per trovare le condizioni minime di sopravvivenza. In quel momento mio padre si vergognava di quanto avevamo nella nostra pur modesta casa e sentiva come inaccettabile che sulla terra esistano condizioni di vita tanto diverse tra gli esseri umani.
È stata una grande lezione di vita per me, da quel momento mi sono resa conto che quanto mio padre ci aveva insegnato fino ad allora, essere sempre generosi con chi ha bisogno, vivere una vita essenziale senza sprecare, e provare a dare il proprio contributo per migliorare il mondo, aveva ancora più valore.
Eliana Giudice